venerdì 30 ottobre 2009

TEATRI CONTRO ESCLUSIONE

-È un tentativo di sperimentare concretamente un connubio tra le scienze umane e l’arte contro l’esclusione al di là dei teatriterapeutici e dei teatri sociali o delle diversità.

-È un tentativo di far lavorare insieme artisti e scienziati della coscienza.

-È un tentativo di trasformare il curato in ricercatore e artista.

-È un tentativo di analisi sulle prassi teatrali multiaccadimentali nei contesti antropici.

-È un tentativo di fare rete, essere “contro”, creando legami unendo esperienze, persone, storie.

Tale percorso dura dieci anni e si svolge in varie città d’Italia e soprattutto a Campodimele (laboratori), Napoli e a Minturno.

TCE punta alla realizzazione di progetti integrati in campo sociale e sociosanitario e socioculturale. Punta a tre aree di indagine: ricerca, didattica, cura (sociale).

La metodologia di base prevede il legame al tempo delle pratiche, la conduzione costruzione di esperienze partecipate che pongono al centro la molteplicità personale, la creatività, la passione per il viaggio comune, l’ironia, la conquista del silenzio e della solitudine, la protensione verso il futuro.

Si prevede un lavoro integrato in diverse aree regionali, condotto da “istigatori”, psicologi e registi. Si prevede la partecipazione di studenti, attori, utenti, ricercatori.

Si prevedono vari prodotti finali:report, laboratori, scritture, eventi, corsi di formazione, progettualità e ricerche tematiche)

mercoledì 28 ottobre 2009

CARISSIMI TEATRANTI

ringrazio voi tutti per le comunicazioni inviate ed utili per chiarire i punti. Sono grato a Marina (e poi Enrico, Gian e Raol) che ha aperto la discussione, il vortice dei rimandi, in maniera chiara, precisa, critica. Tutti voi avete individuato (colto) le problematiche principali per la nostra comune sperimentazione. Credo che le vostre critiche siano fondamentali, per aggiustare il tiro, per stilare una volta e per sempre un documento comune su Tce e per far crescere tali legami extraterritoriali. A Campodimele quasi tutti i problemi (non solo organizzativi, comunicativi, relazionali ma di elaborazione riflessiva) erano, al di là dei propositi iniziali, sintomi di un’unica malattia: la mancanza di comunicazione, di relazione tra noi e di un incontro interno, di una semplicità d'intenti di base. (l’antico manifesto redatto doveva servire a ciò?). Anch’io ho atteso molto prima di rispondere (anche se ho riflettuto molto su Tce), prima di analizzare errori commessi, prima di ascoltare tutti voi e di accogliere le vostre domande. Come Raul non credo che si possa fare nessuna discussione utile per posta elettronica, senza vedersi, senza dosare le parole con sapienza, senza una consapevolezza semantica espressa dal vivo, senza una attenta analisi dei limiti e degli errori, delle proprie visioni. Il pericolo per Tce sta anche nel pensare con una doppia testa, una duplicità che non trova ancora spazi per un confronto, per costruire una mappa comune, proprio qui nell’assenza di un linguaggio comune, nuovo e condiviso, di una bussola su cui orientarsi, che non appartenga necessariamente all’arte o alla ricerca. E le parole di uno di noi sono chiare e un avviso: Per me oggi TcE non ha semplicità d'intenti, è anzi al limite del velleitario. Solo che fatto col cuore. E tutto diventa scivoloso Tracciante sull'identità. Qua i padri sono due però. Chi ha messo il seme e chi alleva la creatura. Per me Giuseppe ed Enrico dovrebbero proporre e dichiarare la chiara doppia testa scientifica e artistica di TcE. Doppia, diversa, senza ponti. I ponti saranno dettati dagli incontri. Credo sia giusto comunicare a tutti voi le radici identificabili di Tce (come scrive Raul Iaiza) e, come direbbe Gian, il nostro “pensiero tricefalo” (pensiero nascente dei primi istigatori immersi nell’arte, nelle scienze umane e nell’ artigianato espressivo). La responsabilità di TcE è prima di tutto mia e non tanto dei primi compagni d’armi (Enrico, Gian), per questa avventura difficile, complicata ( che si pone con umiltà e modestia al di làé delle teatroterapie, teatro sociale, teatri delle diversità e degli oppressi) ma che credo, superate le difficoltà possa dare dei buoni frutti a tutti noi in quanto artisti, studiosi, cultori del sapere. TCE è ricerca di percorsi espressivi utili contro le esclusioni (proprie e legate agli altri). Concordo che occorra essere chiari (oggi più di ieri) nel piano progressivo di lavoro, pe dar vita ad una ricerca (descrittiva) comune a partire dalla pratica (differente) e che la regia di TcE non possa essere affidata al governo mutevole dei casi (Raul Iaiza) o ad una sola persona. La chiarezza d'intenti richiesta da molti di voi non puo reggersi sui buoni propositi epistemologici e sentimenti, sullo sforzo dei singoli, sulla generosità di alcuni e sulla confusione….ma sul “fanatismo a freddo e la non innocenza” (Piro), sul reale bisogno di creare un gruppo di lavoro al di là dei singoli impegni personali e professionali. Ho cercato all’inizio di raccoglie idee e spunti da voi tutti, secondo i vostri punti di vista, ho aspettato forse troppo prima di proporre e tutti voi un piano di lavoro comune (che non intacchi i vostri impegni professionali e territoriali). Un piano di lavoro che spero di illustrare, in via definitiva, a Milano, per capire chi possa attualizzarlo, scegliendo di diventare compagno d’armi. TcE necessità radici forti ed escludenti. Si, escludenti. Avere radici per poter avere rami che si squotano come meglio credono, fra uccelli, venti, piogge, lampi, serpenti, fioriture e tutto quel che possono vivere i rami in libertà e lontano dalle radici. Ma radici per fare un albero ci vogliono. Stanno alla base, e non sono un po' di questo un po' di quello, sono radici. La storia di come prende inizio Tce è stata già ben illustrata da Gian e narra forse di un tentativo di costruire un “pensiero tricefalo” (artistico, scientifico, artigianale), un pensiero istigatore che comporti trasformazioni umane, partendo dal comune matrice del teatro. Ma forse TcE nasce nel 1987 quando praticavo il teatro nei manicomi napoletani e con i tossicodipendenti. Prima che la psicologia contagiasse, in via quasi definitiva, il mio mondo, le conoscenza, i saperi. Ma prima della psicologia ho conosciuto il teatro ai confini…. Oggi TcE è una ricerca fenomelogica/descrittiva (non interpretativa) sulle trasformazioni protensionali (non spontanee) indotte da alcuni (istigatori) verso altri (rapporto curante/curato), una opportunità di scambio sulle prassi tra registi e psicologi e non l'opportunità di creare un inutile pensatoio. La via è quella dell’ essere un escluso che s'occupa d'altri esclusi. Persone nomade. L’orizzonte è quello della “complessità”. TcE è anche un contenitore sperimentale di idee e prassi sulla relazione teatri/esclusione, che merita un confronto serrato tra noi, in cui inserire interventi, analizzabili, descrivibili, nel vivo. Chi scrive pur essendo un costruttore di teorie (che spero abbiano una ricaduta pratica) non mira ad essere un “assolo di strumento” (Gian) più o meno virtuoso ma spera di divenire una voce, tra le tante, del coro. Un coro, al momento, costituito da poche persone. TcE è una sigla finanto non si accoglie il piano di lavoro e di ricerca nei suoi assunti fondamentali, ricerca personale e gruppale, territoriale, artistica sulle trasformazioni protensionali, di istigatori verso altre persone, narra di noi esclusi che lavorano su altir esclusi (Raul Iaiza). Non concordo che TcE, a tutt'oggi, non abbia la benchè minima idea di che cosa debba essere (considerazione personale di Gian) anche se sono d’accordo che non possiamo parlare di coordinamento nazionale ma di un piccolo nucleo di persone (tribu’) che hanno di comune interesse la passione per la ricerca in questo settore (teatri/esclusione) partendo da spunti teorici delle scienze umane e delle arti. Devo ammettere che mi hanno abbastanza sorpreso alcuni argomenti ricevuti in risposta e continua a colpirmi la possibilità stessa di alcuni fraintendimenti. Ma non ci conosciamo poi così¨ tanto... Mi sono imposta di portare argomenti e pensieri aperti. E soprattutto dubbi. Mi sono forzata ad una lettura rigorosa a tratti anche un po' impietosa di quello che abbiamo fatto (e non mi tiro fuori) perch credo che ci si debba assumere la responsabilit (la fatica, l'impegno, il rigore) di un progetto, di un'identi di un percorso. (N.B. Questi ultimi - progetto, identit, percorso - sono tutti, per me, sostantivi complessi e aperti, che necessitano, per, di sintesi comunicabili, pi√π o meno rivedibili e temporanee, sulle quali si innestano il lavoro - teatrale - le relazioni, gli scambi, i conflitti, ecc.) Tutti auspichiamo che il nostro confronto si faccia serrato e concreto e che i vari individualismi diventino ingredienti veri per una ricetta vera (e non attese di...) ma per far questo occorre incontrarsi, parlarsi, vedersi, dividersi, scontrarsi….in pochi. L’esperienza insegna che non occorre essere in tanti all’inizio. Siamo tutti forse dei modesti artigiani, artisti, scienziati dell’anima che credono in quel che fanno al di là degli errori umani, che vogliono andare oltre. In altre parole ci si assume il compito di prendermi la responsabilità di escludere qualcosa. Escludo… Il punto di partenza, la base. Parlare, nelle differenze, come una tribù che possiede un linguaggio comune ben preciso (e che apprezzi il contributo della psicologia, quella utile). Voglio prendermi (come faccio di solito) e gestire e responsabilità. Responsabilità organizzative (di cui vorrei nel tempo fare a memo) e responsabilità scientifiche (ricerca/sperimentazione). Ho pensato sin dall’inizio (forse per errore) che potesse nascere un gruppo di lavoro a distanza. Oltre ai confronti tosti quel per TcE è creare legami per analizzare gli “scassi umani”, di incontrarsi, per riverificarsi, per narrare le esperienze, per descrivere le traettorie destinali umane, per che vedersi, per analizzare concetti, idee, visioni.

Per ciò che attiene la parola di 'esclusione' non sembra un generico concetto poichési mira a creare prassi di antagonizzazione, che nel silenzio, nella solitudine di un gesto possano restituire senso e significato all’umano. Non stiamo insieme per l'analogia dell'esclusioni ma per la passione per il viaggio comune. Per il desiderio di agire, artisticamente e scientificament, da soli e con gli altri, mediante il silenzio della parola nascente. Tce non accoglie tutti e tanto meno gli artisti che mirano esclusivamente a fare spettacoli. Non accoglie tutti. Anzi oggi èil contrario restringere il cerchio intorno a pochi. La chiave del futuro per Tce sta tutto allora tutto qui nel porsi domande su noi stessi o su ciò che facciamo e ci attende dietro l’angolo: «E se la chiave invece fosse quella delle "esclusioni" a confronto? Allora mettiamo le mani nel piatto. Non imbevuti nella cultura del nostro tempo - con correttezza travestita da neutralità semplicemente irresponsabile; con l'apertura sorretta da banalissimo imbarazzo davanti alle idee; con allegria sciocca in mezzo alla mancanza di spessore; senza passato e senza futuro, in un infantile mondo di puro presente, ecc, ecc.» Il comune denominatore non è il desiderio folle del teatro ma la passione per il viaggio comune, per tracciare traettorie. La motivazione è il confronto duro fuori anche delle nostre stesse discipline e convenzioni, per dar vita a dei corto circuiti. «Il tutto però guidato dal concetto di 'esclusione' che riguarda il disagio psicologico o psichiatrico. Loro devono ricavare il meglio. La tazza dove il nucleo incandescente cuoce è quella. Non l'antropologo teatrale, il musicista d'avvanguardia e l'attore professionista».