lunedì 14 settembre 2009

Un Vascello: sulle rotte del teatro necessario


Necessario a chi lo pratica e a chi lo condivide, alle persone sofferenti ed alla società come cura della normalità, alimento vitale dell’essere umano. Necessario a chi opera nel campo dell’esclusione sociale. Imbarca un sodalizio di esploratori, studiosi e teatranti, legati da esperienze o percorsi paralleli, uniti nella condivisione d’intenti antropologici, sociali, etici ed estetici, dal bisogno di mettersi profondamente in gioco. Un manipolo di topi, pronti a sbarcare laddove eventi, idee innovative, convegni, progetti didattici, scientifici e spettacolari (soprattutto nei luoghi più dimenticati, di esclusione/emarginazione) consentano di proporre connessioni di teatro/vita, sperimentando nuove e antiche forme di prassi teatrale. Per spargere il loro salutare contagio. Da questa metafora, ispirata da Artaud, muove il vessillo del nostro vascello, il cartiglio appropriato di questo progetto. Si tratta dunque del legame tra arte e scienze umane, tra creatività personale e sinergia di competenze, tra cura e formazione, in altre parole, dell’intreccio tra ‘Sekala’ (il visibile) e ‘Niskala’ l’invisibile, che il nostro ispiratore magistralmente colse nella visione del teatro Balinese, e sviluppò nei saggi cronologicamente successivi, poi raggruppati ne ‘Il teatro e il suo doppio’. Una trasformazione in atto, sorretta dalla convinzione che, se l’arte é vita e “la bellezza salverà il mondo” (Dostoevskij), dunque é cura della normalità, così come strumento di psicoterapia. A buon diritto occorre diffonderla nei luoghi della sofferenza oscura, portarla soprattutto a chi ne è socialmente escluso o non ha sufficienti risorse (fisiche, materiali) per andarsela a cercare, affinché possa riscattare il suo disagio o la sua diversità. Portare il teatro come viva pratica di relazione e di conoscenza di se stessi, degli altri, del mondo, dentro i luoghi d’aggregazione ma anche fuori, nelle strade e nei borghi di chi mai si metterà in coda ai botteghini delle stagioni teatrali. Condividere il teatro con le nuove generazioni spaesate. Offrirlo ai bambini, per riscoprire con loro la naturale magia del gioco. Il rapporto fra scienze umane, teatro e società si è andato intrecciando e ricostituendo, col mutare dei contesti della sua ricerca, con la scoperta di nuovi territori ed interlocutori: i “diversi”, con cui vagliare e motivare il proprio fare, per sviluppare un’esigenza di rinnovamento, di “fuoriuscita” dagli ambiti angusti delle vecchie pratiche di routine. E’ da queste premesse - ed alla luce dei recenti sviluppi e delle relative riflessioni teoriche, che il teatro sociale, antropologico e terapeutico é andato mostrando nelle situazioni e nei luoghi di svantaggio e/o disagio - che si propone di creare un progetto a lungo termine. Un piccolo movimento nazionale che abbia almeno una occasione annuale di incontro, verifica, dialogo e confronto, riunendo protagonisti e studiosi del settore, provenienti dal campo teatrale, antropologico
e psicologico-psichiatrico. Una organizzazione capace di promuovere, gestire e coordinare laboratori, eventi teatrali e interventi interdisciplinari sul territorio nazionale. Le dimostrazioni di lavoro e i laboratori monotematici in programma a settembre, offriranno una prima occasione per ampliare il confronto sullo specifico del TcE, mentre nei tre giorni presso il Teatro Le Maschere di Arzano si terranno incontri e dibattiti sulle metodologie e le prospettive teoriche odierne. Vorremo aprire nuovi scenari di comprensione dell’umano entro le polarità coscienza/linguaggio, arte/ scienza, costituire un nuovo movimento di idee sull’uso del teatro in contesti non teatrali, con finalità formative, educative, curative e sociali. Un doppio movimento di artisti e studiosi delle scienze umane,
che si scambiano volutamente posizioni, punti di vista e ruoli all’interno del loro sapere, per evitare che taluni operatori della “psy” si improvvisino artisti e viceversa, senza tener minimante conto della differenza sostanziale delle metodiche artistiche e scientifiche (come sottolinea Piro). In ogni caso, TcE non ambisce alla creazione di nuovi modelli teatrali o di psicoterapia, ma intende più semplicemente e coerentemente, fare ricerca e sperimentazione per aprire un varco nella complessità degli accadimenti artistici e scientifici, realizzando progetti concreti, aprendo nuovi fronti verso nuove frontiere. Essere una sorgente fervida e salutare nel vasto campo. A Cura di Gian Bianchetti

8 commenti:

  1. Lo psicologo e lo scienziato della psiche, nell’opinione di chi scrive, ha il dovere di essere informato, periodo dopo periodo, di quanto avviene nei campi adiacenti al lavoro, dalla ricerca come dall’arte, dall’antropologia come dall’epistemologia. Per tutti è necessario cogliere il senso complessivo del fare ricerca della propria epoca. Per questo motivo occorre approfondire altre discipline e campi.

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  2. Un movimento come quello di Teatri contro esclusione non ha molte scelte: o lascia completamente andare, legandole ad essa, la ricerca nel campo delle arti applicate alla psicologia e alla clinica (artiterapie) e, di conseguenza, il problema delle forme di teatro sociale/diversità/emarginazione/terapìa e intraprende un percorso insidioso, difficile e complesso di ricerca multidisciplinare (secondo chi scrive “multiaccadimentale”) oppure attribuisce, anche in maniera superficiale, al teatro molto di più di quanto solitamente non si faccia e non facciano gli studiosi e si adatti alle letture già esistenti.

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  3. Il teatro serve realmente alle persone?

    Si parla da sempre della crisi del teatro e ogni volta il teatro ribadisce la sua importante esistenza per le persone, per coloro che sembrano aver smarrito il percorso di vita. Ogni volta che una società evidenzia una crisi culturale le forme del teatro mostrano la loro utilità sociale, rivendicando una funzione etica e morale.
    Come afferma De Marinis «Ma il teatro può salvare o aiutare a salvare (salvarsi)? Per mettermi sulla strada di questo segreto e quindi del cuore della ricerca grotowskiana, partirò da una domanda imbarazzante, quasi indecente ma forse, ormai, ineludibile: ‘il teatro può salvare o aiutare a salvare (salvarsi)’? Questo interrogativo può essere riformulato in una versione solo apparentemente più abbordabile, ma in realtà, come vedremo, già marcata ideologicamente: ‘Il teatro migliora chi lo fa (e magari, a volte, anche chi lo guarda): può renderlo insomma più buono, più felice, o almeno più consapevole (di se stesso, degli altri, del mondo)’?».

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  4. Sono d'accordo con Vezio Ruggieri: Per uno psicologo il mondo del teatro rappresenta un grande laboratorio in cui processi psicologici, che sono presenti anche ovviamente al di fuori dell’esperienza scenica, appaiono ingigantiti. Alcuni meccanismi sono, nel teatro, particolarmente enfatizzati, quasi isolati, come posti sotto una lente di ingrandimento.

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  5. Mi piacerebbe sapere se Antonin Artaud ha lasciatp qualche scalfittura o solo piccoli graffi superficiali.

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  6. Credo che Artaud non spetta mai di invitarci alla sperimentazione sul campo (carne nuda e cruda) come credo che occorra fare una seria ricerca descrittiva (più che interpretativa) su ciò che accade nelle scienze umane e nell'arte, al di là dello psicocentrismo dilagante e dell'artistico divulgante...

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  7. Una ricerca sulla creatività dell'attore al limite è forse possibile, sulla molteplicità individuale e sui multiformi talenti...
    Magari facendo lavorare insieme scienziati sociali o della coscienza con registi e attori,,,,

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  8. L’odierno panorama scientifico e sociale sta allargando i confini dell’uso delle esperienze teatrali nei luoghi della sofferenza, e ciò nonostante ci sia una chiara crisi delle “tecniche psy ” che coinvolge molti operatori e psicologi. In realtà sono molti coloro che s’indirizzono e postulano alcune ipotesi necessarie per il rilancio delle arti teatrali per le fasce deboli, le lotte all’esclusione e d’impegno alla "cura della normalità" (Errico G. 2006) in un quadro sociale grandemente mutato.
    Nell’ultimo ventennio lo sforzo maggiore di alcuni artisti e psicologi è stato, pur sempre, quello di condurre, quasi per mano, il teatro fuori le istituzioni totali (ex manicomi) e sul territorio, nel desiderio di mostrare ai "comuni mortali" l’importanza del mezzo teatrale nella cura, nel sociale, nei luoghi della formazione psicologica, nel desiderio di attuare un viaggio dentro il "riscatto" del diverso.

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